Antonella La Monica

Racconti


In occasione delle nozze di Giovanni con Rosalia

Londra 31 gennaio 2013
Tarragona 3 agosto 2013
S.Caterina 17 agosto 2013

Pensieri di mamma

Era un sabato di parecchi anni fa. Se ben ricordo, doveva essere maggio , c’era odore di fieno mietuto e già avevo sentito qualche impaziente cicala iniziare a frinire.
Stavo in cucina, dove la finestra è cornice all‘Etna di fronte , lontana e pur così vicina nella sua inconfondibile mole, sovrastata da nubi di fumo. Pensavo a cosa preparare per cena: avremmo avuto un’ospite , un’amica, avevo intuito più che amica, di Giovanni, come l’Etna così vicino, a Palermo, all’università, ma così lontano con i suoi desideri, sempre con la testa fumante di progetti.
Mi aveva avvisato: – Mamma, arrivo con Rosalia…
Non è che mi mettesse ansia l’ospite fotofinish, era una procedura normale: ogni sette, quindici giorni il rientro; molto spesso portava qualche amico, che accoglieva in quella casa di Palermo, un porto di mare, e così poteva capitare uno scalo a casa nostra, in collina, però, a 100 chilometri dalla capitale.
Pensavo alla cena e a Rosalia che avremmo conosciuto. Rosalia , nome siciliano, di famiglia tradizionale, di certo sarà stato il nome della nonna , magari di Carini o Bagheria, di Alcamo o Palermo, di cui la santa è protettrice.
Invece, no. In una folata di parole mi sarà detto che è spagnola, precisamente catalana.
Per me una spagnola, e credo anche una catalana, si sarebbe dovuta chiamare, che so, Ines o il classico Carmen o Isabel …! Confermato che il detto “ moglie e buoi dei paesi tuoi” non si sarebbe adattato a mio figlio!.. ma, a pensarci, essere spagnola, preciso catalana, vuol dire essere dei paesi tuoi, per quanto la storia e la cultura locali possano differenziarsi : la stessa forgia della lingua , la stessa voce dei Romani conquistatori, la stessa forza dell’immenso Adriano imperatore, le armi degli stessi paladini da Roncisvalle al teatro dei Pupi , il calpestio degli stessi cavalli arabi dalla Meseta alla Conca d’oro, lo stesso Ferdinando re d’Aragona e di Sicilia: siamo sorgente e foce dello stesso fiume!
Torniamo alla cena. Di solito, la cucina di casa nostra è quanto più possibile biologica, limita molto i grassi, ad eccezione dell’olio d’oliva, si consumano frutta e verdura di stagione, carni locali, pesce , se fortunati, fresco, ma quando Giovanni si preparava al rientro, che la temperatura fosse a 0 o 40 gradi, già per telefono: – Mammina , ci vuole tanto tempo per preparare…, perché è da tempo che non mangio… E si scatena la lussuria della gola : piedini di maiale, trippa, stigliole, lingua con salsa verde, frittatine di cervella, testina d’agnello, animelle, rognoni con cipolla, fagioli con le cotiche, fegato all’agrodolce… ( gusti da novizio in convento! )… insomma avrei dovuto scegliere: trippa o carcagnoli lessi? Era capace di farmi cucinare carni che mai avrei sospettato di manipolare; mi invento medico anatomo-patologo che osserva, seziona, elimina e mi converto in cuoca che pulisce e cucina viscere, che spianta organi e li impianta in un giardino di erbe aromatiche .
Per l’occasione, avevo optato per la trippa e, prenotandola , il macellaio di fiducia con sicurezza , mi dice : – Arriva Giovanni, non è vero?-
Intanto avviso il colesterolo ( all’epoca non dichiarato , ma già in agguato) e invito la trincea dei villi intestinali a resistere , ma si può negare una qualche simile pietanza ad un figlio che ti chiama “ mammina” e ti scioglie il cuore?
Intorno alle sedici, il cigolio del cancello che si apre, la voce di papà: – Giovà.. – , di sicuro l’abbraccio e le presentazioni.
Io, con le mani olezzanti di trippa che stavo già arredando con le erbe , la cipolla il pomodoro e…l’ingrediente segreto, velocizzo le operazioni: Giovanni e Rosalia sono arrivati e non so se con qualche altro ospite…- Figlio mio, potevi ritardare mezzoretta!!
Mi lavo le mani, con un colpo plastico tirò indietro il ciuffo sbandato, mannaggia neanche un filo di rossetto e uno spruzzo di colonia. Metterò a rischio la prima impressione!
Apro la porta della cucina e davanti , come al solito, si materializza una “ piramide “, un San Cristoforo: sulle spalle lo zaino strizzato fino a scoppiare, a tracolla la custodia con chitarra e la pellegrino di cuoio con dentro qualche pezzo recuperato tra le macerie del trasloco di un ignoto indiano di via Dante ( una volta, ricordo, anche un sitar enorme, ingombrante, ma trasportato con la leggerezza sacrificale del prescelto a cui è stato destinato un tesoro), la borsa della biancheria sporca, molto spesso piena di spartiti e un solo jeans, e accanto: lei.
Giovanni mi saluta e , come al solito, istintivamente mette una mano sull’orecchio destro, perché sa già che gli darò un bacio così scrosciante, da astinenza, che per qualche secondo sentirà verde acido; passando alla guancia sinistra mi modero … di solito gli davo più baci : uno per ogni giorno di assenza da casa, ma c’era lei, non potevo esagerare.
Per terra adagiano borse e zaini.
– Mamma, Rosalia.
– Rosalia, mia madre.
– Piacere, cara.
– incantat…
Mi aspettavo – encantada!- come dicono gli spagnoli… Mi è sempre piaciuta questa formula di presentazione, la trovo più musicale e gentile del nostro “ Piacere” o del loro “mucho gusto”, che evoca, a parer mio, una certa carnalità
Ha gli occhi belli e vispi, lo sguardo sveglio, interrogativo, esplorativo… quello delle donne che sentono le vibrazioni nello spazio, nell’aria intorno e se ne avvolgono come il pareo un corpo al sole.
Brindo con i miei i suoi occhi . Valutazione epidermica :- Graziosa, molto graziosa ! Alta abbastanza per figurare accanto a mio figlio…bella ragazza …poco seno ( e penso subito alla coppa di champagne ).
Bevono un bicchiere d’acqua fresca, e mentre mitraglio cento cose su università , studio, materie, tempo libero chiedo cosa desiderano per merenda ( la chiamavo ancora così per “ sentirmi un po’ mamma ”). Giovanni, mentre elenca tè, caffè, pasticcini, nutella e quello che vuoi…annusando appena l’aria, con soddisfazione esclama: – Lo sapevo che avresti preparato la trippa! Che mangiata stasera!-
Coinvolge Rosalia: quel visino e la trippa! Già, dovevo ricordare che Ballarò e il mercato del Capo sono un’ottima palestra del gusto strong!
Rosalia era incorollata da una gonna lunga, con la cerniera scucita che lasciava intravedere uno spicchio di pelle; troppo in fretta me ne accorgo e subitissimo .. (oh, potevo aspettare un’oretta, invece no), le faccio notare la defaillance a cui non aveva prestato attenzione, ma ormai era fatta!
Dopo il giretto di rito in giardino, il saluto a Zoso, il nostro amato cane, la visione panoramica degli ultimi lavori, la meraviglia doverosamente espressa per far felice papà per ogni semino interrato, per ogni cespuglio fiorito, per ogni maiolica recuperata e messa in opera , al richiamo perentorio : – Dai, venite dentro, è pronto ! – rientrano, ma in veranda ..mal si accorda l’odore denso della trippa che cuoce con l’aroma del caffè e mentre la giovane ospite sorseggia il suo tè accompagnato dai dolcini alla mandorla e gli immancabili Savoia, ci ricasco, di nuovo l’imprudente invito :
– Rosalia, cucio la cerniera?
– Grazie, se vuole, anche adesso!
Galeotta fu la cerniera!
Rosalia sfila la gonna, me la porge, si siede e raccoglie le gambe a sé con una sorta di verginità che mi conquista, una pudicizia ancestrale che mi ricorda i petali del tulipano al calar della sera.
Apprezzo tanto quella postura sincera, così perbene ! Mi piace .
Cucio la cerniera in modo perfetto per la gonna di una ragazza di nome Rosalia e non Ines o Carmen o Isabel, di una ragazza né di Palermo , né di Alcamo, né di Carini , né di Bagheria, della ragazza, ormai chiaro, di Giovanni , che per il nome che porta , agli amici che pensano sia di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, rispondo, con una certa vanità esterofila: – E’ di Barcellona, ma Barcellona in Spagna… e se devo specificare Tarragona, intuendo che i più si chiedono dove si trovi, mi capita di pronunciare in un sol colpo TarragonaBarcellonaSpagna
Questa ragazza, questa donna è entrata nella nostra famiglia e a cui, spero, cucirò ancora qualche altra cerniera!
A questa donna che ha conquistato il nostro e il vostro Giovanni, a questo uomo che ha conquistato la vostra e la nostra Rosalia cosa si può loro augurare se non continuare ad amarsi e a coltivare con ogni energia il bene prezioso che è l’Amore?
L’Amore, cibo per le muse , per gli dei , per gli uomini, mistero insondabile, ma svelato in un bacio, alchimia di anima e di pelle , magia di carne e di spirito … l’Amore oggetto e soggetto di poeti, letterati, musicisti , pittori, scultori, monaci e filosofi semplicemente oggetto e soggetto degli esseri umani…
Amare, così complicato quando non è abbastanza l’amore e così semplice quando trabocca dal cuore e dagli occhi! In mezzo a noi , davanti a noi l’Amore : Giovanni e Rosalia, i nostri figli insieme a cui auguriamo di essere un cielo di tenerezza e di certezza, che mai si addormentino senza chiedere scusa e senza averlo detto, che perseguano con tenacia e con ogni forza la serenità e la possibile felicità, che non permettano al mondo di obbligarli a vivere senza orizzonti, che trovino equilibrio nel generoso compromesso , che vedano sempre il sole dietro le nubi minacciose; a Rosalia la pazienza necessaria al restauro e a Giovanni la capacità di cogliere l’armonia delle dissonanze, che il presente sia l’edificio del futuro, che l’amore scriva la storia di questi figli che sognano una famiglia in cui “ ti voglio bene” significhi sempre “ voglio il tuo bene”.
A Giovanni,
Giò, quando abbiamo deciso che sarebbe stato bellissimo offrire un ricevimento, dopo Tarragona, anche a Santa Caterina per festeggiare il tuo matrimonio, hai proposto di realizzarlo nell’unico posto possibile, in campagna, a casa.. senza dubbio il luogo giusto, il luogo del cuore, il monumento al lavoro di tuo padre.
Questa casa è cresciuta con te, con tua sorella e voi siete cresciuti in questa casa che ha visto i vostri bisticci, gli abbracci, gli scherzi che mi facevate, i vostri stravaganti giochi, quello degli “Ordini”(ricordi?), le raccolte di uva , le facce sudate di vita, di fatica orgogliosa a cui non volevate sottrarvi , lo scippo delle meline dall’albero, delle olive che tentavate di contare per scommessa ( e tu ancora continui a promettere che ogni anno è l’anno giusto per aiutarci a raccoglierle, ma sono già parecchi autunni che non ci riesci! ).
Questa casa ha visto le vostre esperienze con galli, galline, tacchini, (ricordi?) anche l’oca Camilla e la meraviglia per le ali delle libellule piroettanti sul laghetto; ha sentito la feroce e dolce sgridata di papà quando hai fatto svuotare la cisterna per non aver tenuto d’occhio la spia dell’acqua, perchè impegnato a rincorrere qualche lucertola o a catturare qualche rana che, poi cattivo buon ragazzo, sezionavi per scoprire come era fatta dentro.
Le finestre di questa casa hanno spiato gli intrepidi scavi per crearti una caverna dove alloggiare con la tua fantasia, hanno ascoltato le prove sgangherate di un improvvisato gruppo rock con Viviana, Diego e Manuela; le stradine che costeggiano questa casa hanno sentito i tuoi passi, quando rientravi più tardi , e la mamma, a tua insaputa era sveglia e si quietava quando chiudevi la porta suggellando così il suo sonno; hanno visto i tuoi passi ormare la neve e il rumore della Panda , l’unica macchina che eri autorizzato a guidare.
Questa casa ha sentito le note della tua chitarra, della tua musica che saliva alle stelle.
Questa stessa casa stasera accoglie parenti, amici, nuovi parenti, la tua Rosalia e sono sicura che i grilli tra i cespugli di lavanda spiegano alle lucciole ciò che sta accadendo : il miracolo continuo della vita che scorre, segnata da avvenimenti che mutano la geografia del cuore;
sono sicura che, stasera, il nonno Michele sta mettendo a punto l’orologio del Tempo felice e la nonna Maria ricama la luna per stare a guardare.
Questa casa che ami e che ti ama sarà sempre la tua oasi per quando ne avrai bisogno, dove, per favore, porterai i tuoi figli che spero si possano emozionare a rincorrere qualche vera lucertola, ad acchiappare qualche rana, ad attentare alle ali delle libellule, a scavare per la loro fantasia; spero che vorranno provare a macchiarsi le dita per raccogliere olive, che scipperanno anche loro le meline dai rami; spero che in questa casa dita azzurre suoneranno il pianoforte, le tastiere, i violini, le chitarre e l’aria intorno riecheggi di note ; spero che parleranno con accenti colorati agli alberi, alle colline, alle rondini, alle campane e il vento porterà fino a noi le loro voci; aiutali a comprendere che in questa casa ogni pietra è un pensiero di pietra, in ogni pietra un pensiero di amore; aiutali a scoprire in questa casa lo spirito dei Lari.
Adesso a tutti e due: promettete di onorare le vostre famiglie ed essere migliori di loro: possedete tutto ciò che ve lo può permettere.

La mamma.


 

Santa Caterina Villarmosa – Piazza Garibaldi 25 settembre 2012

Inaugurazione PANCHINE D’ARTE

 

Pensieri sulla pietra

PROLOGO

Sostando innanzi ad un pero incarognito a non produrre le sue kaiser (e quindi vittima di una decisa potatura), esprimendo il sentito cordoglio alla famiglia delle rosacee per la perdita ( non certo nel pieno del vigore !) dei cari congiunti rami, che ormai hanno raggiunto il mondo dell’Aldifiore, mi aggiro nello spazio sepolcrale recitando un requiem per le gemme abortite, per gli ingenerati corimbi, per le api disorientate, per le farfalle commosse, per gli orfani bruchi e i vermi affamati, per l’autunno più scolorito e sconsolato…quando una pietra, un’infiltrata pietra, una clandestina pietra attenta alla caviglia della gamba destra, facendo sì che il requiem risulta intramezzato non da una sola parolaccia, ma da un rosario di paro…lacce che recito senza fatica, a memoria.
Intuendo la posizione della vigliacca, in mezzo ai resti dell’autopsia ( praticata da un bio coroner, sperando esperto per la palingenesi dell’albero focomelico), non calcolandone la dimensione e le possibili conseguenze alla già invalidata caviglia, le dò un calcio immediato, vigoroso, vendicativo, punitivo.
Ahi, ma che soddisfazione!
La pietra, valuto grossa quanto una bella mela della Val di Non, categoria max, nutrita come mucca con gli estrogeni, ha uno scatto, intraprende il volo, ne seguo la traiettoria più o meno regolare, fende l’aria, nessuno ostacolo, s’impenna, declina, plana, va a cozzare contro un’altra pietra del muretto a secco nei pressi del roseto ; nell’urto, il soggetto e l’oggetto della mia ira, si divarica come tra mani energiche una mandorla invertebrata.
Cosa vedo?
Una venatura rossastra la percorre al suo interno, una cicatrice simil rosso pompeiano ostenta tutta la sua fierezza tatuata, traccia dell’antico dolore, tutta la sua intimità violata e così un calcio, il mio calcio l’ha denudata, denunciata.
Vedo una pietra nuovamente dogliosa, ha le ossa spezzate in due!
La guardo. Ne ho una gran pena!
Mal sopportata dalla caviglia, distendo la gamba come asta snodata di compasso e raccolgo le due parti fratturate. Una a destra , l’altra a sinistra. Le accosto. Nessuna scheggia manca… mi sembra un vetusto porfido .
– Ecco, com… baciatevi , per l’ultima volta! -.
Pulsa la caviglia. Duole. Caspita, come duole! Mi sta bene!
Chiedo scusa al soggetto e oggetto della mia ira e del mio dispiacere.
Che faccio ? Cogito, ergo reperio solutionem: le incastonerò nel muro a secco. Quale migliore famiglia potrebbe adottarle?
Avranno tante cose da dirsi e da ascoltare.
Narreranno delle loro madri montagne , delle priame rocce sorelle, degli addii laceranti, dell’errare senza sosta, delle lande senza voce, dei silenzi inghiottiti dai tuoni, del dolore per i graffi dei venti e le rasoiate del gelo, degli schiaffi dei ghiacciai, dello sprofondare nelle voragini ignote, nelle sorde forre e , refurtiva dei fiumi, essere monumento nelle foci e concubine del mare .
Narreranno, ancora, della pace nei fossati , delle accese discussioni con le rane; di quante volte hanno consolato i salici, a guardia del recinto, assaliti dalle capre e delle volte che hanno offerto alle greggi assetate le pietre lichenate dell’abbeveratoio; del refrigerio della pioggia che irrora le crepe e le profonde rughe, dei sogni sotto il velluto della neve, del crogiolarsi al sole e ridere delle lucertole sfuggenti agli agguati dei gatti, della bontà nell’offrire ai ragni l’ancoraggio per le divine tele e alle formiche catacombe e granai per l’inverno.
Racconteranno delle “ lacrime di Lorenzo”, delle stelle che hanno provato a contare, dei sortilegi delle costellazioni, dell’incanto della luna e dei suoi mari.
La pietra, una pietra, ogni pietra così vicina e inascoltata, con le sue ferite, le cicatrici e gli strati della pelle racconta e continua a raccontare la favola e il mistero della Terra!

MADONNA PIETRA

La p i e t r a è il ruggito della terra nel travaglio delle ere, è l’anima della natura sofferente nell’offrire in olocausto le sue viscere preziose, la sua liquida intimità, che induritasi nel cammino verso il cielo si fa tana per gli animali, antro per gli uomini, nascondiglio per i semi, ventre per il mare, letto per i fiumi e i torrenti travolgenti , bocca avida dei laghi e conca gorgogliante di sorgenti.

La p i e t r a, sorella incestuosa del vento e dell’acqua, nel turbinio della passione con gli abbracci e i feroci morsi, racconta trame d’uragani e di burrasche e inventa nuove narrazioni del tempo che la scolpisce e la modella

La p i e t r a è la vagina della terra neonata, è il crogiolo delle felci e delle amebe ischeletrite, dei pesci che nuotano nella linfa areica.

Con la p i e t r a scintillò la lingua primigenia di quel fuoco che Prometeo rubò agli dèi e nella p i e t r a fu conservato.

Il soffio sulla p i e t r a, rorida d’umori, animò Adamo e il suo vagito ricamò l’aria dell’Eden e le mani del Demiurgo.

Fu di p i e t r a la prima trincea del recinto privato;

di p i e t r a l’altare degli agnelli e delle vergini , olocausti agli dei dagli uomini inventati;

di p i e t r a la parola degli oracoli , delle stelle e di Michelangelo che la chiese al suo Mosè ;

di p i e t r a è il muro dei confini e la sicurezza del riparo;

di p i e t r a è la sfida all’assalto dei nemici e il limes segnato dagli imperi;

di p i e t r a i paralleli e i meridiani dell’avido possesso.

di p i e t r a è il contrassegno delle distanze percorse e da percorrere.

Nella p i e t r a finì il viaggio di Noè e l’asciugarsi della pietra fece sì che la colomba spiegasse le sue ali.

E’ la promessa solida delle costruzioni, dei templi, dei ponti, degli acquedotti, delle vie consolari , dei castelli, delle torri.

La p i e t r a è la superba copertura dei potenti nella vita e nella morte;

è la tomba senza nome dei perseguitati;

è il sepolcro dei dispersi, dei condannati,

è il sudario delle adultere con il burqa.

E’ p i e t r a la forza senza scampo delle sillabe crocifisse “ le parole sono pietre”.

E’ la consegna nazarena narrata da Matteo “ Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa… “.

La p i e t r a è preziosa nel castone di un anello;

è zavorra al collo del condannato;

è la gogna dello scandalo;

è la violenza che si fionda per abbattere il gigante;

è arma raccattata per le strade galilee nelle guerre senza fine;

è il misterioso desiderio dei filosofi alchimisti;

è la verità dell’oro;

è il potere di Medusa spietrificato da Perséo;

è la coppa rovente dove fresco fiorisce il pane;

è quel peso che mai sullo stomaco sentiranno gli affamati.

La p i e t r a è crisma al superamento dei contrasti “ mettere una pietra sopra”;

è lo sfinimento della commozione (…le sue parole commossero perfino le pietre..);

è la ferocia del cuore che non perdona (avere un cuore di pietra);

è il riconoscimento delle colpe “…chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra..” e del rimorso “sentire una pietra sul cuore”;

è il ricordo inciso degli affetti “… mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio “.

Dalla p i e t r a le celesti anime tentano di cavare il sangue ai sogni.

Di p i e t r a è la mola che stilla oro nei frantoi e nei mulini;

Di p i e t r a si rimane alla diagnosi inattesa, alla menzogna vera degli incubi nel sonno.

La p i e t r a morde feroce le dita del cavatore, è impietosa nelle mani del minatore, l’ammansa lo scalpellino, è docile nella forgia dell’artista che sbozza, incide, incava, abrade, polisce, intaglia, risalta, trafora , ne leviga la carne, ne fa fluire il sangue e ne fa respiro di Dio.

PANCHINA – I DUE VISI

Sentinelle d’arenaria nella piazza
spiamo
i voli di pipistrelli e di falene
ingordi di sfide e di luce
gli svolazzi di tonache e di veli
che sì intrecciano con gli occhi dietro le persiane

contiamo
I rintocchi della mezzanotte
le ossa del tempo del campanile
la fine dei battiti del cuore
i gufi che chiurlano alla luna

ascoltiamo
i ruggiti del sole sdraiato sui tetti
il vento che urla con le mani ai capelli
il fruscio dell’ombra che arrampica le Rocche
il brusio delle stelle che predicono il cielo
i sussurri intermittenti delle luminarie
le litanie delle candele accese

e ancora
le note verdi delle gole
quelle nere delle marce
i passi brevi del tailleur
i passi oziosi degli statali pensionati
i passi tenebrosi degli esodati
i passi ruggine dei disoccupati
quelli ammuffiti dei disperati

e ancora
i trilli dei cellulari
le risate che s’appendono ai balconi
le bocche gorgoglianti strategie per vittorie nazionali
le lingue acide d’accuse e di sospetti
i rosari di menzogne di promesse dai microfoni oratori
gli applausi scroscianti le bestemmie spavalde
le parole scarlattostinto del circolo anziano

vediamo
i tacchi che vestono le ragazze
i nidi colmi di testosterone
processioni di bicchieri
colmi di schiuma esotica e alcolica allegria
i silenzi avvinazzati
le spire dei crotali fumati
le foto di Solitudine che abbraccia Compagnia
come mamma in braccio culla il figlio morto

ricordiamo
siamo sentinelle d’arenaria nella piazza
mai l’una schiava dell’altra
ma una di fronte all’altra
unite da una trave
solo insieme siamo una panchina
solo insieme
si può sorreggere il peso del tuo culo.

PANCHINA – LA FOGLIA E LA PIETRA

Nella pietra un tempo vi dormì il mare
la linfa d’ azzurro e di sale
si fece cristallo
teca d’ un verde bocciolo di luce fragrante.

Nel mare un tempo vi dormì la foglia
innamorata del cielo
e il suo cuore d’acqua recitò una preghiera
per intonare canzoni d’aria.

Nella foglia un tempo
vi dormì la pietra
nella pietra il mare
nel mare la vita.

La foglia è cristallo d’azzurro e di sale
è desiderio di cielo canzoni e ghirlande d’aria.

La foglia è passione e resurrezione del tempo.

La foglia è il tempo dell’uomo.

PANCHINA – I FUNGHI

Dormono umide d’ottobre
le spore silenziose
sognando l’alba

così la pietra azzima sospira
la mano di Fidia
per ingemmare il respiro

fiori di perla
i funghi attendono d’essere raccolti
per non saziare i vermi affamati

fiori di carminio
i funghi tossici fiori
ingannano le imprudenti farfalle

come gli uomini
i funghi non sono tutti commestibili.

Su questa panchina
ad aspettare novembre
trascorrono i giorni
di menta di rose di fiele d’ortica
menzogne di rondini che intrecciano il cielo
nidi di tarli in bocca alla luna.

PANCHINA – UOVO

Uovo per assonanza uomo

fragile mistero immenso
ostinata domanda e plurime risposte
di mistici orfici orientali
di savi ellenici
di filosofi occidentali
di taitiani e taoisti
d’induisti e darwiniani
di prelati vaticani
di teorici quantistici

uovo per assonanza uomo

didima unità
contenente e contenuto
nutrito e nutriente
nudo e pur vestito

uovo per assonanza uomo

tabernacolo dell’universo
petalo di sole nella placenta mare
atomo di pietra nel firmamento naufrago

uovo per assonanza uomo

teca di vita
urna di marcio.