Antonella La Monica

Recensioni


Franca Alaimo poeta e critico – Palermo

( Antonella La Monica- LA PAROLA SPOGLIATA – Ed. Lepisma, Roma

Niente si frappone fra vita e espressione nella poesia di Antonella La Monica se non il gusto per la disposizione musicale delle parole che stempera le molte acidule digestioni di una quotidianità a volte insopportabile e nauseante quale una donna libera ed intelligente come l’autrice “deve” ad ogni costo tollerare all’interno dell’odierna società che, come scrive Maffia, – e fa piacere che lo dica un uomo – ha spodestato la donna ” dai suoi antichi domini senza che le siano state date alternative valide e convincenti”.
Non si pensi, però, nonostante un tale incipit, che Antonella sia una di quelle femministe che gridano in modo improponibile una loro supposta superiorità sul maschio, in questi testi , al contrario, vibra una forte femminilità , che può apparire sconcertante solo a chi abituato ad ammantarla di logori clichès, di stampo romantico-borghese, tanto cari e comodi, soprattutto, al mantenimento dell’ordine sociale basato su ruoli e caratteristiche precostituiti che somigliano per altro a delle camicie di forza per un autentico dispiegarsi di ogni esistenza. Per liberarsi dalle gabbie mentali,Antonella sa – sulla scorta di esempi di altre scrittrici, e mi viene in mente, tra molte, Sylvia Plath – che per rendere convincente il ritratto di sè, non bastano coraggio e sincerità, ma che è necessario innanzitutto un lavoro sul linguaggio per liberarlo anch’esso da ogni belletto e formula convenzionale e sottometterlo alle proprie esigenze espressive; il che non vuol dire che la poetessa abbia eliminato ogni riferimento al ruolo di voce alienata; piuttosto, servendosi con finto ossequio di rime ( sebbene molte imperfette e facili) e di ritmi talvolta classici, li piega alla sua verità raggiungendo effetti di ironia ed estrosità, non esitando, per quanto riguarda il lessico, ad accogliere lessemi che parrebbero poco poetici in sè e che, trovano il loro posto esatto e necessario all’interno dei versi.
Quel che mi sembra straordinario è come, lavorando sulla parola, Antonella sia arrivata ad una tale conoscenza di sè da non temere di squadernarla, innanzitutto sotto i suoi occhi meravigliandosi – e perchè no? – soffrendo anche di trovarvi molti sentimenti oscuri, e però così straordinariamente umani, accanto ad altri teneri e sensibili e non trascurando atteggiamenti squisitamente femminili: la gioia di indossare un bel vestito, il rito del trucco, l’orgoglio materno.
E’ questo libro anche uno specchio in cui Antonella La Monica invita a guardarsi ogni donna d’oggi per ritrovare il proprio vero volto, liberandolo non solo da vecchie inibizioni, ma anche dai nuovi e altrettanto stupidi dettami della moda che ne umiliano la più profonda dignità, esaltandone soltanto certi requisiti fisici e facendone macchine sessuali, tutte culo e tette rifatti e labbroni: una sorta di immagine mass-mediale senza spessore interiore, un angelo perfetto ma senza anima, dato lo scadimento di ogni valore metafisico della bellezza.
Per tutto quello che ho detto, mi pare di potere affermare che questo libro possa appartenere ad ogni donna che come la sua autrice cerchi liberamente di “essere” in una società che, mentre afferma, la parità dei sessi, spesso concede alla donna solo la libertà di prostituirsi a quella parte dell’immaginario maschile che non è ancora riuscito a toccare con intelletto e cuore onesti l’altra metà del cielo, pur da sempre necessaria per realizzare un’autentica e completa dimensione esistenziale.

Gianni Amodio poeta, scrittore e critico – Taranto

Fulminato dalla ” parola spogliata”, finalmente aderisco al club dei nudisti e senza oltraggio di pudore porto in giro come vademecum il breviario laico di questa silloge eccezionale, stupefacente, aderente al mito del quotidiano con freschezza espressiva e rinnovata materia joyceana che tanto mi intriga, nella adesione altamente poetica innovativa e sperimentale verso il linguaggio apparentemente della “giornata” con i suoi vari aggettivi, ma in realtà elevata ad emblema lirico-contenutistico della vita di tutti i giorni, con l’acume che solo la grande poesia, come questa, sanno spremere dalla vita, dall’immanente, dal contingente, come il trascendente.
” se qualcuno va in menopausa altri in pensione” in entrambi i casi ” androgeni dell’esistenza”, sfogliamo la vita che si avvia verso l’aridità, ma capaci ancora si sublimare ” giovane” poesia, dalla scrittura che non conosce nè menopause nè andropause.
Grazie ad Antonella per aver prodotto un libro esemplare, eccezionale, intrigante, complice, estensibile a tutti, anche se difficile per quei tutti banali e tradizionalmente senza “mente”, convenzionali e convenzionati con l’idiozia letteraria.
questa silloge potrebbe diventare un manifesto sul valore erudito e nobile della quotidianità, come elemento assoluto e primario dell’afflato lirico.

Giovanni Occhipinti poeta, scrittore e critico – Ragusa

E’ lei, Antonella che si spoglia sulla pagina e nei suoi versi per dare vigore alla parola poetica e non sottometterla finalmente ai luoghi comuni di una poesia usurata dal tempo. Una rivoluzione personale, dunque? Sì, se a questa sua denudazione vogliamo attribuire il giusto valore, che è quello di indignata e divertita protesta esistenziale e di verità. Questa sua raccolta si potrebbe leggere come un “calendario” molto personale, estrosamente strutturato, in cui la poetessa può sgranare il proprio e l’altrui quotidiano: dalla Giornata falba alla Giornata ametista…
Le ” tiritere” della poetessa di Villarmosa connotano, talora con finta strafottenza, ma con trepidante tensione, il “calendario” di afflizioni quotidiane per le quali sciorina con furia, ma con effetto, tutta una costellazione di neologismi che smuovono e accendono dei colori della novità la sua effervescente scrittura poetica, conferendole ricchezza semantica. E in proposito, sarebbe opportuno uno studio linguistico attraverso l’indice di frequenza dei tanti neologismi. La novità di questa poesia consiste nel furor creativo col quale Antonella La Monica trascina sconvolge frantuma maschera irride i temi intorno alla “casalinghità” per desacralizzare lo status di donna della provincia dell’entroterra siciliano. Il rischio,
perchè c’è un rischio per tutto, potrebbe nascondersi nel gioco insistito del divertissement. Alludo a un qualche ruzzolone spontaneistico nella salmodia e nel filastrocchismo; ma, aggiungo, questo non potrà mai intaccare e frenare i colpi d’ala di questa poesia. Che vola! Anche se zavorrata dal peso del mondo della realtà global ( Accade, parole in gioco, non ho una risposta). e anche quando ha occhi per il dramma umano, quello di tutti i giorni, quello che si consuma anche nelle corsie degli ospedali, bene, anche allora Antonella sa averli con destrezza leggera, non indugiando sulla lacerazione, ma piuttosto ricercando in sè la saggezza della parola ( Reparto di pneumologia, dimmi padre, Non riesco ad esser figlia). Nell’ambiguità del tessuto e della trama è possibile, ad Antonella, affermare e negare, velare e disvelare, dare precise “indicazioni” e subito smentirle, depistarle, grazie all’uso talora in rapida successione di metafore, cosiddette continuate, che si condensano nel succo dell’allegoria. Di per sè il tema trattato dalla poetessa sarebbe banale e scontato al di fuori di una comune “trattazione”, ma tutto diventa terribilmente serio nella furia iconoclasta di una inventio che ha tutti i caratteri della novità assoluta, in senso stilistico. Va da sè che stiamo parlando di linguaggio. un linguaggio di notevole spessore e originalità che non ha l’eguale se da sola, e senza trattati socio-antropologici, può mettere in ridicolo la “rivoluzione” del femminismo, mostrando allo stesso tempo come ci si possa divertire – e con quanto sfizio – a inventarne una propria, che certamente raggiunge splendidamente i suoi effetti e può perfino restare nel tempo della Poesia.

Lettera di Fioretta Faeti Barbato critico, pubblicista Pesaro

…bello, bello, bello! mi sono fermata solo alle parole “morte bianca”.Ti scriverò a lungo, ma ora è davvero urgente che io ti dica le mie immediate emozioni. C’è tutto, proprio tutto, ci sono pure io perchè mi sono incontrata spesso. Ho riconosciuto la mia rabbia, ma anche il mio dolore che è di stampo antico come il tuo. Sì, “parola spogliata” da ogni orpello che troppo spesso la condiziona. il tutto è un manifesto, non solo di grande poesia! C’è una tale rivoluzionaria ribellione alla retorica del detto e del fatto di generazioni! sembra che tu abbia raccolto e memorizzato le istanze sofferte da tutte: Tu, donna che si rigenera nell’animo di tutte: le felici (poche), le infelici (troppe), le soddisfatte (stupide) e le altre. ti fai portavoce del pensiero coltivato e non detto, tenuto ipocritamente nascosto da chi, per ruolo storico imposto da altri, deve essere dolce, paziente, sorridente e serena per dare sicurezza e certezza. Sì, ” è amaro il miele del cuore…”, è diventato fiele ed è bene cacciarlo fuori per non avvelenarci. Musica, musica per le mie orecchie ad esprimere il rancore sopito, le verità spesso celate dietro la follia, che ci appartengono……

Lettera e note critiche de Acc. Prof. Nunziata Orza Corrado critico, saggista Napoli

Gentile autrice, ho letto il suo testo poetico “ La parola spogliata” con sincero interesse… dal titolo immediatamente disarmante… davanti al contenuto sento di trovarmi di fronte ad un’autrice originale, spigliata, disincantata che presenta una solida preparazione culturale e una notevole capacità espressiva. Dai versi si evince, nonostante la lamentata ostentazione di sconfitte esistenziali ( chi non ne ha?), un estremo bisogno di tenerezza e di amare che non si crede che possa essere realizzato. Così, in un realismo deliberatamente scettico, si muovono a loro agio, uno sconfinato interiore e un’ironia, talvolta, cruda e pesante.. Come dire che la Nostra autrice non si colloca mai nel mezzo; anzi denota una propensione alla poesia dei poeti “mauvaises”, sfoderando un morboso gusto personale, che tuttavia, non esula dalla sincerità e dall’immediatezza. I versi si muovono agili, vivi, pregevoli di sensazioni quasi tattili. Si nota, altresì, un’atmosfera liberatrice quanto alle norme sintattiche, grammaticali, lessicali.. ma VIVA LA POESIA! I suoi libri saranno collocati nella biblioteca dell’Accademia, per concorrere,poi, entro maggio 2008, al premio “Città di Sarno-Cultura” se lei vorrà…


 

Recensione a ” LA PAROLA SPOGLIATA”- Lepisma – Roma – di Antonella La Monica

Allorchè in una serata estiva sormontata dalla luna, radunati nella sua composita villa di campagna, invitati in esclusiva ad una tavola apparecchiata all’aperto rigogliosa di manicaretti a base di erbe e verdura, come fossimo tutti vegetariani ( in verità c’era della carne per un cannibale come me) fummo ospiti di Antonella La Monica e lei fece sbucare meravigliosamente e di sorpresa come un coniglio dal cappello prestigitario e ci presentò in anteprima, a noi pochi amici del cuore, il suo ultimo libro di poesia annunciato o denunciato come “La parola spogliata”.
Qualcuno di bello spirito le si avvicinò in un annusamento estatico, facendo istrioniche viste di incupidirsi libidinosamente e di inebriarsi facinorosamente, ghiottamente di quella nudità carnale come di profumate mutandine femminili appena sfilate. Poi, rimpinzati che fummo. quando lei passò alla lettura-dizione, quasi gelosa, da non togliergliela o sfilargliela essa, di alcuni componimenti della silloge. L’uditorio e anche quel temerario qualcuno ( che questo pubblico avrà riconosciuto fra i presenti), si accorsero di ciò che pure dovevano aspettarsi , nonostante le molte ostentazioni cameratesche cui lei li aveva abituati, avvedersi cioè che all’infuori di qualche conclamato culo (si nomina così o niente), e di qualche altra sillabazione lussuriosa ( in fondo di estrazione puberadolescenziale o goliardica, di qualche impudicizia verbale ( non abbiamo fatto caso a stupro) quale “puttana”, di squacqueratamente nudo non c’era altro di strepitoso oltre alla parola spogliata di ogni ritegno ipocrita, oltre essa non c’era – e dite poco- che la sua anima afflitta e scavata dal tedium vitae, in parte luttuosamente, in parte voluttuosamente dolorante, e che di provocante veniva somministrato soltanto il suo piglio scrittorio spericolato, lampeggiante, lussureggiante di impeti, di accoramenti nei riguardi della malvagia vigliaccheria della quotidianità rutinaria. il tutto veniva inframezzato , intercalato da una martellante apologia , nel senso di orazione di difesa : -Che volete, sono fatta così specie in questo momento particolarmente infocato dell’esistenza. Rivendicazione e scusante non petita insieme compunta e superba delle idiosincrasie della propria persona: si credeva in un certo senso una brigatista rossa in azione.
In effetti non aveva torto: lo spirito della sua poesia di non tanto sbaragliata rivolta, ma anzi piuttosto addomesticata e mitigata da un cuore ardente che si sente oltraggiato dal mondo, non se la tiene e spara a zero.
Ma non è propriamente nelle mie corde indagare i moventi se non in quanto si siano coagulati e trascritti nella pagina adempiuta, il significato rigidamente espressivo, la resa letteraria e formale, l’esito estetico da rintracciare in un discorso freddamente critico. Invero – e questa è la mia religione- circa il ticket di riscontro o allineamento o coincidenza tra poetato e vissuto tra i due termini, tra la viva diretta esperienza e la parola, perchè scaturisca poesia deve intervenire e incunearsi quale termine medio un terzo elemento, una terza operazione che chiamerei, per distinguerla dalla realizzazione, realizzamento o inveramento che poi è lo stesso che idealizzazione , metamorfica mitizzazione che sono procurate per via di una forte proiezione interna, per una sorta di getto, spruzzo eiaculativo potente della parola che appaia appunto pronunciata di getto e liberatoriamente, ma non per carnalità, sibbene per empito di verbalità.
Operazione che non è di poeticizzazione, si badi, quasi di vestizione esteriormente poetica, ma di pensiero, di riduzione alla essenza, a una essenza quasi assiderata.
Ora l’Antonella ha scelto volontariamente l’operazione inversa di concretizzazione massima di materializzazione, di empirizzazione delle sue esperienze in modo che facesse agio su tutto la prepotenza tracotante della sua donneità, e si potrebbe dire, della sua sessualità femminile. Il che ha fatto ben consapevolmente e criticamente sostituendo alla erlebnis strettamente lirica la sua propria spansa avventura umana in questo mondo, addirittura a uno strenuo livello domestico, offrendo piuttosto che il sublime tout court un sublime d’en bas.
E’ una opzione ugualmente e squisitamente letteraria e un gioco riuscito perché questo “ infangarsi” terrestre, questo, se mi si consenta la parola cruda, questo imbestiamento da sport estremo e non da frivola civetteria, che ha dato gratificazione a lei e le guadagna lo assenso del lettorato ed entusiasmo è riscattato da svettanti intuizioni poetiche.
Detto questo, sarò il caso di procedere ad una analisi più ravvicinata, ad una più puntuale monitorazione poetologica.
Intanto , si tratta di un dettato molto libero, in un certo senso eretico grammaticalmente che cadrebbe spesso sotto la ghigliottina del lapis blu di un bilioso italianista: intransitivi che diventano disinvolti transitivi “ il mare spumeggia bianche dalie”, “ i giorni di lavanda aromavano sassi “ (pag. 64) , “ mattinata che sbadiglia luce di ricotta” (pag.67).
Aggettivazioni stramazzanti che mescolano sinestesicamente sensazioni troppo distanti . “ rane salmodianti verdi requiem salmastri” (pag. 64)in cui sono impastati l’udito, la vista, il sapore, il sesso.
Ma ciò che più colpisce è la cavalcata tumultuosa, la enumerazione paratattica di cose, oggetti, stati d’animo tutti dipendenti e retti da un solo verbo, come lunghe liane; polisindeti e coordinate e slavina con una sonorità battente, quasi batteristica o psichedelica, o strobofobica in qualche modo folle, un rotolare di espressionismi,di colorismi quasi negroidi, selvaggi, da orge sabbatiche. Tra metafore efficacissime come nel decasillabo “ la pioggia che fa i nidi nelle nubi” (pag 63). Ma da tutto proviene una energia vitale e iridescente dominatrice, una forza d’urto quasi sfinente, cui non puoi non arrenderti, sperando tuttavia che prima o poi svigorisca.Col cavolo! Non svigorisce affatto fino alla fine del libro e meno male, perché resti sotto una fresca doccia o una ventata alla finestra in una afa canicolare che pure a volte ti lascia senza respiro.E’ la personalità di Antonella, una donna che si è virilmente conquistato un proprio modulo espressivo insieme ad una coscienza di sé, ma che si estende a tutto l’universo femminile. Lei, per carità, “ è fatta così” e questa poesia, l’ho detto, è la sua irripetibile cifra umana. E veramente la sua poesia è nuda, con le cosce di fuori, e benedetta te che noi siamo degli inguaribili guardoni, però non affezionati al subdolo e timorato buco della serratura, ma alle porte spalancate che fanno non intravedere, ma dolosamente vedere con occhi e sensi sbarrati.

ANGELO AMICO